a cura di Antonio Grulli
12/05_12/06/2011
ANTONIO GRULLI "....Senti Flavio, per la mostra all’Ex Hotel Brun mi piacerebbe fare un piccolo dialogo, una cosa simile a quella fatta con Davide Ferri per il neon al Mare Termale Bolognese.
Però un dialogo incentrato solo sull’idea di hotel, di albergo, e della funzione che può avere nel tuo lavoro. Non è la prima volta che ti confronti con questa “tematica”. Hai già realizzato in passato delle opere partendo da spunti o da oggetti presi da hotel. A mio modo di vedere ha a che fare con la tua attitudine di artista che prosegue sull’idea di Gesamtkustwerk, come credo di avere avuto già modo di dire in passato, ossia dell’opera d’arte totale, della ricostruzione completa dell’universo da parte di un artista. A mio parere gli artisti si dividono in due categorie: quelli che evolvono il proprio lavoro attraverso una successione di opere e quelli che passano la vita seguendo un’unica opera, all’interno della quale vi è un processo evolutivo, ma che mai termineranno (come il merzbau ad esempio). E tu fai parte di questi ultimi.
Il concetto di hotel mi sembra sintomatico di tutto questo perché è come un piccolo “universo” autosufficiente, una specie di esperimento in vitro di mondo autonomo. Al suo interno potremmo vivere ipoteticamente senza mai uscirne. Vi è un luogo per dormire, uno per mangiare, persone che ti aiutano, il logo dell’hotel è stampato ovunque, negli esempi più alti gli oggetti stessi e il mobilio sono disegnati appositamente, ecc. E’ come un’abitazione, ma ancora più completo, perché è anche luogo di incontro e socialità, dimensione che manca alle abitazioni, dove in genere la comunità che vi è presente è quella famigliare. E poi la grande stagione degli hotel ha avuto il suo periodo eroico ed epico in contemporanea proprio con il grande momento della fusione di arti applicate e arte, tra fine-ottocento e inizio-novecento.
Ora mi sembra che questo fascino stia tornando. Ti faccio alcuni esempi idioti ma esemplari: all’interno del cinema di un regista che ho già accostato in passato al tuo lavoro, Wes Anderson, è diventato un cult quel gioiello di cortometraggio che è Hotel Chevalier (so che tu non segui molto il cinema ma non importa), in cui il protagonista spende inutilmente il suo tempo e le sue giornate all’interno di un hotel di Parigi. L’altro esempio è il telefilm Gossip Girl, in cui uno dei protagonisti, Chuck Bass, quello maggiormente vizioso e perfido, vive servito e riverito all’interno di una suite di hotel di proprietà della sua famiglia. Il terzo esempio è Paris Hilton, l’ereditiera della grande catena di alberghi, famosa e ricca per il semplice fatto di essere famosa e ricca come lei stessa ha genialmente dichiarato.
Ecco, questi esempi per me sono sintomatici di una generazione, la mia, che è tornata a subire il fascino dei Grand Hotel del passato, anche se spesso nell’immaginario comune, in maniera falsata, lo stile di vita di coloro che li frequentano è legato a qualche cosa di “malato” a livello psicologico. Ogni volta che in un’opera d’arte (sia essa cinematografica, letteraria, ecc) è presente una persona che vive all’interno di un hotel generalmente si tratta di qualcuno dotato di ingenti somme ma che non ha dovuto lavorare per costruirle (chi “fa” i soldi non spende il proprio tempo in questi luoghi), e questo nell’immaginario collettivo comporta una dimensione di ozio e quindi di vizio.
Ma qui forse ci stiamo troppo allontanando, meglio lasciare spazio alla tua risposta..."
FLAVIO FAVELLI “ Quando ero bambino gli hotel, come le sigarette, il Martini e gli aerei, per me hanno sempre voluto dire libertà e lontananza da casa. E voleva dire lontano dalla famiglia, dalla scuola, da Bologna dove tutto mi opprimeva. Poi ho scoperto che, anche se stavo a Bologna, collezionando pacchetti di sigarette, carte intestate di alberghi e loghi di compagnie aeree mi sentivo meglio.
Forse hotel è l'unica parola che in tutto il mondo è scritta in caratteri latini. Fra le scritte in arabo o cirillico Hotel è sempre lo stesso, come a Riccione.
Ho fatto un gioco, dimmi 3 nomi di hotel che ti ricordi: Hotel Savioli a Riccione -mi sembrava così audace!- che era anche un dancing; l'Hotel Raphael, dove si narra che il Paese chiuse un'epoca; e Hotel Giappone, perchè mesi fa mio padre mi ha raccontato di avere capito meglio una questione importante del suo rapporto con mia madre, e tutto ciò perchè gli venne in mente il proprietario dell'Hotel Giappone di Pistoia che si suicidò tanti anni fa. Gli chiesi anche il perchè del nome: strano "Giappone" a Pistoia. Mi guardò deluso... “Occome - in toscano - tu che giri il mondo che mi fai queste domande?”. L'albergo non esiste più. Ospitava negli anni della guerra le ballerine dei varietà e fu distrutto nei bombardamenti. Fu ricostruito, a sentire mio padre, ma il proprietario si tolse la vita perchè non gli riconobbero "le stelle".”
HOTEL_GIAPPONE_lista_opere.docHOTEL GIAPPONE_RASSEGNA STAMPA