No idea how long
Paolo Inverni
a cura di
Alessandra Franetovich
dal 25 maggio al 17 giugno 2017
We need to interpret interpretations more than to interpret things
Michel de Montaigne
Concepita come un'indagine «sull'impossibilità di tracciare in modo netto il confine tra dato d'origine, percezione ed elaborazione cognitiva di esso», "No idea how long" riunisce opere inedite dalla produzione più recente di Paolo Inverni. Cristallizzate nei formati canonici della storia dell'arte – disegno, pittura, scultura – le opere in mostra sottolineano soggettività e parzialità di qualsiasi punto di vista, che sono svelate per mezzo di traduzioni e traslitterazioni tra codici linguistici e culturali diversi.
Nelle opere confluiscono riferimenti al mondo e alla storia dell'arte e del vedere, ad epoche, luoghi e contesti differenti che, isolati e rinnovati, formulano una nuova immagine capace di tracciare il percorso di uno sguardo soggettivo, dando vita a un'architettura del pensiero.
I due dipinti Madonna col bambino . Cima da Conegliano . 1495 circa e San Giorgio e il drago . Vitale da Bologna . 1330/1335 si configurano come analisi semiotiche e relazionali che intercorrono tra i protagonisti delle due tavole conservate presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. All'elisione dell'immagine originaria, allusivamente oscurata con pittura ad olio di colore nero avorio, segue il processo di isolamento per fare emergere particolari elementi delle figure ritratte, quali le pupille e le traiettorie degli sguardi, evidenziati con tratti specifici e relative colorazioni. Alle pupille corrispondono piccoli tondi bianchi – pieni se queste sono visibili all'osservatore nell'opera originale, in caso contrario sono segnati come perimetro e sbarrati – da cui hanno origine le traiettorie dello sguardo, raffigurate con una linea retta gialla terminante in una freccia o in due contigue – rispettivamente se l'osservato è interno al quadro oppure esterno. Realizzate con tempera acrilica, le forme e linee geometriche costruiscono una mappa concettuale che eclissa la complessità di dati tipica dell'opera pittorica figurativa, sostituita da un sistema di segni differente – minimale ed efficiente al pari di un progetto infografico. Il processo di traduzione non comporta una semplificazione in minimi termini bensì la volontà di approfondire un unico valore, lasciandolo emergere tra i vari che caratterizzano l'opera originale. Inverni accentra la sua attenzione sul gioco di sguardi interno all'opera tramite cui, in ultima istanza, è possibile esplorare le dinamiche relazionali e sociali dell'epoca in cui il dipinto è stato realizzato.
Alla molteplicità degli sguardi in atto concorrono anche quelli del pubblico, dando vita ad un sistema frammentario contro cui si scontra la presunta oggettività delle forme che caratterizzano le opere in mostra. La geometricità dei tratti è elemento che contraddistingue anche Remains (cno), opera composta da sei diversi disegni realizzati su carta millimetrata semitrasparente, da cui si distinguono vedute di un luogo, divenute esili e solitarie linee tracciate in uno spazio razionale. Semicircolari, rigide o frastagliate, le forme tracciate dalla penna rappresentano indistinguibili scorci spaziali e temporali riferibili ad una città tuttavia non identificabile né riconoscibile. Risultato di un processo di ricerca e selezione di fotografie amatoriali scattate da autori sconosciuti e reperite tramite ricerche d'ordine più casuale che filologico, le forme tracciate su carta millimetrata rappresentano l'esito della selezione attuata da Inverni. Un'operazione che denota ancora il proposito di scrutare i labili confini tra soggetto e oggetto dello sguardo, in cui l'oggettività si confonde con l'espressione di soggettività. In ciascuna forma è infatti ravvisabile il concetto e il senso del luogo che appartiene ad ognuno di noi, e nelle suggestioni urbanistiche affiorano memorie collettive e individuali. Dietro ciascun foglio semitrasparente disegnato sono posti altri dieci fogli di carta intonsi che, facendosi sedimentazione, aggiungono profondità all'immediatezza dello sguardo.
La rilevanza del processo di stratificazione nell'opera di Inverni è ben visibile in Again (stehee), scultura composta da otto lastre di vetro su cui è stata disegnata la medesima porzione della pianta architettonica della Basilica di Santo Stefano di Bologna. Rette da basamenti di legno e collocate l'una sull'altra con sfasature che ne intervallano in maniera differente il disegno, le lastre si intersecano dando vita a un'immagine dall'aspetto articolato, composito, razionale e multiforme, estremamente differente dalla figura statica iniziale ormai dissolta. Apparentemente unitario, il risultato si dissolve però nei riflessi e nei giochi ottici che si originano durante il tentativo di osservare l'opera, resa instabile dalla qualità formale e materiale della stessa. Lo spessore del vetro disegna ulteriori livelli visivi, come la rifrazione della luce circostante ne colora i bordi, dilatando i confini della rappresentazione grafica quanto la sua decifrabilità.
"No idea how long" è il verso estrapolato da uno scritto, il dettaglio estratto da un insieme, l'indizio di un enigma che, come una suggestione, introduce al tema del sospeso.
Opere
Madonna col bambino . Cima da Conegliano . 1495 circa, 2017
olio e acrilico su tela, 60,5 x 47,2 cm
San Giorgio e il drago . Vitale da Bologna . 1330/1335, 2017
olio e acrilico su tela, 86 x 70,5 cm
Remains (cno), 2016
inchiostro su carta semitrasparente, 6 elementi, 30 x 43 cm ciascuno
Again (stehee), 2017
acrilico su vetro, legno, 10,6 x 42,5 x 42,5 cm
Paolo Inverni (Savigliano, 1977, vive e lavora a Torino). La sua ricerca artistica – basata sull'utilizzo di linguaggi e media differenti che sovente assumono la forma di installazioni – indaga il concetto di punto di vista, e la sua relazione con la realtà oggettiva presunta. Suoi lavori sono stati presentati in occasione di mostre personali e collettive tra le quali: 'Eclissi', Galerie Mazzoli, Berlin (2015); 'Paths', Galerie Mazzoli, Berlin (2009); 'Luci', e/static, Torino (2005); 'Teatrum Botanicum', PAV Parco Arte Vivente, Torino (2017); 'Che il vero possa confutare il falso', Santa Maria della Scala / Accademia dei Fisiocritici / Palazzo Pubblico, Siena (2016); 'Videoreport Italia 2008_2009' GC. AC., Monfalcone (2010); 'Evading Customs: Milan', Le Dictateur, Milano (2010); 'Découpage (f l)', blank, Torino (2006); 'Inner spaces', Künstlerhaus Dortmund, Dortmund (2006).
Alessandra Franetovich (Sarzana, 1985, vive a Torino) è storica dell'arte e curatrice indipendente. Si occupa in particolare di concettualismo e di arte russa e degli altri Paesi dell’ex Unione Sovietica, con un interesse specifico verso l'arte come strumento di ridefinizione dei canoni interpretativi, percettivi e relazionali. Come assistente curatoriale ha collaborato con istituzioni museali quali Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea e Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato. Come curatrice indipendente ha curato progetti espositivi presso Galleria Frittelli, Firenze; LocaleDue, Bologna; Le Murate, Firenze; Castello Malaspina, Massa. Come Cultore della materia presso l'Università di Pisa, tiene lezioni sull'arte concettuale e sull'arte non ufficiale sovietica degli anni Settanta e Ottanta. Scrive per riviste quali Exibart, NYR Magazine, Kabul Magazine.